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Recensione del servizio free floating di Torino: alla ricerca della pista perduta!


Sono colorate e sparse per il centro delle città, affiancano le bici del bike sharing ma non serve un abbonamento, solo un cellulare e una carta di credito. Sono le bici dei servizi free floating. Le avete già provate? Fino ad oggi, io mai. Vi racconto la mia esperienza a Torino.

Mi sono iscritto a due dei tre servizi di bike sharing free floating disponibili a Torino da novembre 2017: GoBee Bike e oBike, tralasciando le rosse Mobike  che ho trovato solo più tardi. Avendo un telefono Android sono andato nel Play Store e ho scaricato le due applicazioni digitando “gobee” e “obike”.

Con una connessione a 4G download e installazione delle due hanno richiesto all’incirca uno o due minuti. Ho trovato il pulsante di registrazione, inserito numero di telefono mobile, Nome, Cognome e e-mail, aggiunto nel caso di GoBee Bike i dati della carta di credito e concluso la transazione con PayPal nel caso di oBike per pagare una “cauzione” a scelta fra diversi tagli che partono da 5 euro.

La cauzione in realtà è la prima ricarica al servizio di free floating, che al momento costa 0,50 euro/ora. Ho provato per prima una bici verde di GoBee bike. Trovo una bici in ottime condizioni ferma sotto i portici di piazza Carlo Felice nei pressi della stazione di Porta Nuova.

È chiusa con un blocco alla ruota posteriore e per sbloccarla apro l’applicazione, premo il pulsante di scansione in basso allo schermo e inquadro con la fotocamera il codice QR al centro del manubrio, un insieme di quadratini bianchi e neri che va centrato nel mirino sul telefono.

Tratti brevissimi, ToBike in vantaggio ma…

Sull’applicazione compare una barra di completamento e in pochi secondi la bici si sblocca davanti ai miei occhi. Il primo minuto non si paga, perché bisogna pur controllare che funzioni tutto a dovere prima di partire: se c’è qualcosa che non quadra si può chiudere il lucchetto fisso circolare fissato sopra la ruota posteriore entro il minuto.

Il sellino si regola in altezza facilmente e ha una guida per impedire che rimanga storto. Il cestino anteriore ha i bordi bassi e le maglie larghe ma è solido: può contenere un piccolo zaino, una borsa da signora o una piccola busta per la spesa con gli acquisti.

Inforco la bicicletta e percorro Via Lagrange, una via pedonale e ciclabile: in sella a una bici è godibile e si può arrivare fino a Piazza Castello su percorso ciclopedonale. Non vado però molto lontano, decido di fermarmi di fronte ad una libreria.

Metto la bici vicino ad altri mezzi privati e meno appariscenti, blocco la ruota tramite il lucchetto manuale. L’applicazione dopo qualche secondo recepisce la chiusura del lucchetto e interrompe il “tassametro”. 50 centesimi vengono sottratti dal credito della “cauzione”.

Qui c’è la prima differenza di sostanza con il bike sharing ToBike che a Torino costa 20 euro/anno di abbonamento più minimo cinque euro di ricarica ma permette entro la prima mezz’ora d’uso di non pagare alcuna tariffa, mentre ogni successiva mezz’ora costa 50 centesimi.

Il limite rispetto al free floating che sto provando è che la bici del bike sharing va riposta nella apposita rastrelliera, per cui il percorso che si fa in bici deve essere compatibile con la presenza di rastrelliere nei dintorni della partenza e dell’arrivo.

Per spostamenti brevi e compatibili con le rastrelliere il bike sharing comunale ToBike conviene ancora. Ma proviamo un percorso più articolato, 9km nel centro di Torino.

Giornata no per oBike

Questa volta vado alla ricerca di una bici oBike in Piazza Castello. Trovo una bella bici con i cerchioni giallo scuri e cerco di domarla con l’apposita applicazione. Lancio, inquadro, barra di completamento…e Errore Bluetooth. Attivo il bluetooth, riavvio l’applicazione, rilancio, inquadro. Niente.

Riavvio il telefono e torno alla carica ma ancora niente, nonostante segua un suggerimento sul forum ufficiale che dice di avviare la scansione, poi bloccare lo schermo, uscire dall’app senza ucciderla, aspettare 10 secondi, avviare di nuovo l’app e scansionare. Inizio a pensare che il mio telefono e questa bici non siano compatibili, ma un test su un’altra bici della flotta conferma l’Errore Bluetooth.

Intanto una bici verde mi sta fissando da mezz’ora come un Labrador guarda una salsiccia: la inforco, sblocco e vado.

Ma dove vai se la pista ciclabile non ce l’hai

Scarico sul telefono una mappa delle piste ciclabili di Torino fornita in formato PDF dal Comune. Mi si apre un a serie di linee connesse ma spesso spezzate.

Mi lancio sotto i portici del Teatro Regio direzione Giardino Reale. Dopo aver atteso il verde del semaforo pedonale percorro in discesa un bel tratto di pista ciclopedonale dentro i Giardini, protetto dalla strada (comunque vuota) e gradevole. Purtroppo la bella pista termina nell’incrocio trafficatissimo di Corso Regina e sebbene la mappa mi indichi un qualche modo il prosieguo del percorso al di là dell’incrocio desisto per riportarmi in Piazza Castello ripercorrendo una modesta pendenza in salita.

È sicuramente il tratto più interessante per il turista, che può visitare in sella Palazzo Madama, la Cattedrale di San Giovanni Battista (Duomo di Torino) e la Porta Palatina: il parco archeologico funge anche da punto abbeveraggio grazie al Turet del giardino pronto a spillare acqua del sindaco tutto l’anno al biker assetato. Porta Palatina è anche provvista di una rastrelliera ToBike (una mappa dei Turet qui).

Da Porta Palazzo inizio un percorso meno turistico che percorre Via Verdi, costeggia il Po, passa dal Valentino e devia per la stazione di Porta Nuova. Un tratto che uno studente o chi lavora nei paraggi può essere incentivato a fare, e difatti ai lati della pista ciclabile vedo numerose bici private posteggiate e qualche ciclista su pista.

Da Piazza Castello Via Verdi scorre parallela a Via Po e ha una pista ciclabile su pavé che arriva fino agli Studi Rai e a Palazzetto Venturi. Il pavé non è molto indicato per ospitare una pista ciclabile e questo è alquanto dissestato. La pista ciclabile è solo una striscia gialla scolorita e senza protezione dal traffico, fortunatamente scarso.

All’incrocio con Via Rossini la pista si perde per proseguire sul lato diametralmente opposto della strada: purtroppo scopro che a Torino far saltare la pista ciclabile da un lato all’altro della strada è piuttosto frequente. Insieme agli incroci senza priorità per i ciclisti e ai semafori costringe a fermate e ripartenze continue, impedendo di mantenere un minimo di velocità che agevolerebbe lo spostamento.

Il tratto di fronte al Palazzetto Venturi è perfetto, con le rastrelliere di ToBike e una bella pista rossa, che si ferma a due passi dalla Mole per lasciare spazio all’area pedonale. Il terreno che va dal cinema Massimo alle scuole e università verso Via S. Ottavio presenta voragini pericolose anche per un pedone: devo schivare buche e pischelli, oltre a un bus elettrico che sta impiegando la sua energia pulita in movimenti da millesimo di millimetro in mezzo agli studenti usciti dalle aule.

La pista prosegue in un tratto architetturalmente abbandonato di Via Verdi per scontrarsi su due barriere New Jersey di cemento che delimitano un cantiere tagliando perpendicolarmente la pista. All’incrocio comunque strisce pedonali e pista ciclabile sono sbiadite al punto che solo l’esperienza coi luoghi può evocare all’automobilista il transito di biciclette in quell’incrocio.

Arrivo finalmente al Lungo Po Cadorna non prima di perdere di nuovo la pista ciclabile. Per arrivare a Lungo Po Diaz ci sono le strisce pedonali da attraversare e sono di nuovo fermo al semaforo. Dopo però comincia un bel tratto che costeggia il fiume ed emerge davanti al Ponte Umberto I, dove purtroppo c’è un nuovo semaforo pedonale.

Dal Valentino a Corso Marconi in bici

Inizia il Parco del Valentino. La polizia non lesina mezzi e uomini per controllare il parco, saranno una decina in pochi metri a fare da guardia a due tizi su una panchina, un fotografo amatoriale e qualche passante. Il parco è gradevole da esplorare in bicicletta anche a Gennaio, la strada è perfetta e vanno schivati solo gli scoiattoli che attraversano i viali del Parco.

Di fronte al Castello del Valentino che ospita la Facoltà di Architettura vedo il più ampio assortimento di bici: mezzi di tutte le ditte di free floating accerchiano la rastrelliera del bike sharing comunale.

Passato l’ennesimo incrocio dove la bici o ridiventa pedone o si butta nel traffico veicolare inizia in Corso Marconi uno dei tratti potenzialmente più promettenti: qui basterebbe pochissimo per trasformare la sbiadita pista bordata di giallo in una pista rossa protetta da un cordolo e magari segnalata all’incrocio.

La pista di Corso Marconi connette stazione ferroviaria di Porta Nuova, l’omonima fermata della Metro 1 ai viali del Parco del Valentino in una carreggiata molto ampia che permetterebbe addirittura una pista per senso di marcia. Più che una pista ciclabile quella di Corso Marconi potrebbe diventare una vera e propria dorsale ciclabile all’ombra degli alberi del viale.

A conferma della bontà dell’interscambio mezzi pubblici-bici, l’uscita della fermata Marconi della Metro è presidiata da svariate bici free floating, che aumentano di numero all’avvicinarsi con Porta Nuova.

A Porta Nuova la pista ciclabile degenera in un terreno con l’asfalto devastato e viene occupata dai musi delle auto degli adiacenti posteggi ritrovando lo stile tristemente più tipico.

Free floating promosso, con qualche accortezza

Nei pressi della stazione chiudo la bici con il blocca ruota e la lascio a disposizione per il prossimo ciclista. L’esperienza per quanto riguarda il servizio di free floating è stata molto positiva, i mezzi sono al momento ben funzionanti e ideali per un giro cittadino.

Si potrebbe fare qualcosa di più per il trasporto di oggetti che il turista e il pendolare porta con sé, e la mancanza di ammortizzatori può infastidire sui fondi dissestati che caratterizzano ancora diverse le piste del centro di Torino.

Il servizio di free floating è comunque estremamente conveniente e incredibilmente comodo da usare se si ha una minima dimestichezza con gli smartphone e le app. Il giro cittadino mi è costato 1 euro per meno di 90 minuti, incluso l’iniziale tragitto di pochi minuti. Non male, considerando che una corsa sui mezzi pubblici costa 1 euro e 50 centesimi.

Per essere sicuri di non rimanere a piedi comunque iscriversi a più di un servizio è consigliabile perché il software è passibile di errori e soprattutto non è detto che il mezzo che la flotta che è popolare nel luogo di partenza sia altrettanto gettonata nel luogo di arrivo.

Se si è incerti su dove trovare i mezzi, le rastrelliere ToBike del servizio pubblico sono il punto di aggregazione naturale anche per il free floating e sono ben segnalate da mappe presenti in ogni rastrelliera. Le applicazioni comunque segnalano con relativa precisione la presenza delle bici anche se spesso la vista è più veloce dell’app grazie ai colori sgargianti di cerchioni e telai scelti dagli operatori.

Torino non fa rete: ciclabilità da migliorare

Il vero tallone di Achille della ciclabilità torinese è però la precaria condizione del percorso ciclabile nella sua interezza: incuria, attraversamenti non segnalati, terreni difficili, scarsa o nulla protezione della pista rispetto al traffico veicolare e continui stop and go ai semafori o agli incroci sono le note più dolenti di questa piccola esplorazione di quasi 9 km di piste e percorsi ciclabili nel centro di Torino.

Le rastrelliere piene di fronte ad Architettura suggeriscono l’arrivo di un architetto ciclista che unisca quelle linee spezzate, tagliate dal cemento, dai binari del tram, dai semafori e le leghi insieme a formare una rete funzionante e connessa con gli altri mezzi di trasporto, con i parchi, le scuole e le destinazioni dei pendolari. Per ora è ancora un sogno.

Il bike sharing senza ciclabilità, senza infrastruttura come ha insegnato recentemente l’urbanista Mikael Colville-Andresen nell’ottima trasmissione di Presa Diretta dedicata al tema, non può essere un sistema di trasporto realmente alternativo all’auto che sta togliendo aria e spazio alle città. Ed è ora per la fu città dell’auto di pensare al proprio futuro.

Aggiornamento 24/01: Riguardo all’errore nello sblocco delle oBike, l’operatore ha segnalato che il Huawei P8 Lite è equipaggiato con un dispositivo bluetooth incompatibile con gli Smart Lock oBike. Purtroppo è una ragione indipendente da oBike legata ad una scelta di Huawei per quel modello di smartphone.

Giancarlo Costa

Snowboarder, corridore di montagna, autore per i siti outdoorpassion.it runningpassion.it snowpassion.it e bici.news. In passato collaboratore della rivista SNOWBOARDER MAGAZINE dal 1996 al 1999, collaboratore della rivista ON BOARD nel 2000. Responsabile tecnico della rivista BACKCOUNTRY nel 2001. Responsabile tecnico della rivista MONTAGNARD e MONTAGNARD FREE PRESS dal 2002 al 2006. Collaboratore della rivista MADE FOR SPORT nel 2006.